Approfondimenti

5. Costo Industriale e prezzo di vendita

L’insieme del costo di produzione (o di acquisto del prodotto per le aziende commerciali), più i costi di gestionedistribuzione e venditarappresenta il costo industriale.

Esso definisce abitualmente il limite minimo del livello di prezzi accettabile: salvo situazioni particolari in cui, per specifici prodotti e in mercati limitati, non si scelga di vendere in perdita per acquisire altri vantaggi, stabilire un prezzo al di sopra del costo industriale, e quindi realizzare un adeguato margine, è indispensabile. 

Costo industriale e prezzo di vendita

Il margine può però derivare non dal singolo prodotto, ma dalla linea. L’esempio classico è la vendita sottocosto di un prodotto come una stampante per computer, con la redditività reale che deriva dal vendere poi ad altissimo margine le cartucce di inchiostro.

Esistono metodi di calcolo (soprattutto il calcolo del punto di pareggio, o "break even point", oltre alle simulazioni di conto economico più o meno sofisticate) che consentono di definire con precisione il numero di pezzi necessario per coprire i costi industriali e realizzare un margine a secondo del prezzo e del numero di pezzi venduti, e servono per valutare la convenienza di un prezzo o di uno sconto. Sono molto utilizzati, ma richiedono una certa capacità di calcolo.

Nelle realtà aziendali in cui il livello di professionalità di chi si occupa della politica commerciale è più modesto (ad esempio la piccola distribuzione al dettaglio) il metodo più diffuso per stabilire il prezzo è quello del costo industriale, o costo di acquisto del prodotto, più un ricarico fisso in percentuale, detto "mark up".

In alcuni casi però il mark up rappresenta il metodo più razionale per definire un prezzo anche dove la professionalità degli addetti è elevata: ad esempio le società di servizio di solito stabiliscono i prezzi aggiungendo un ricarico ai costi di gestione prevedibile per quel cliente, le imprese edili presentano le offerte d'appalto in base a una stima dei costi previsti a cui aggiungono un ricarico prefissato per il profitto.

La grande distribuzione (che deve gestire spesso decine di migliaia di singoli codici prodotto) non potrebbe operare in altro modo che stabilendo ricarichi fissi sulla base di parametri quali la rotazione dei prodotti, cioè la velocità con cui vengono venduti: minore la rotazione, maggiore deve essere il ricarico sul singolo pezzo per assicurare lo stesso profitto nell’unità di tempo.

 Due elementi giocano a favore dell’utilizzo del metodo del mark up, e ne spiegano la vasta diffusione: uno è che i venditori semplificano considerevolmente il problema dello stabilire il livello dei prezzi, che spesso tendono a uniformarsi (salvo l’irrompere improvviso di concorrenti esteri a basso costo), l’altro è che questo sistema sembra più "morale", impedendo che le aziende sfruttino i momenti di domanda alta (in cui il mercato acquista a prescindere dal prezzo) per realizzare profitti eccessivi.

Quale che siano le modalità di calcolo per definire il ricarico sul costo industriale o sul costo di acquisto del prodotto, per una politica commerciale lucida ed efficace il mark up non dovrebbe essere l’unico criterio per guidare la definizione del prezzo, ma integrarsi con altri fattori.